“Mi trovi disgustoso?” chiede Charlie, imprigionato in un corpo di 270 chili che rende ogni suo gesto faticosissimo e rischioso, perfino la risata. “Sì, mi dai il disgusto” penso mentre per qualche secondo sento il bisogno di distogliere lo sguardo dallo schermo, mentre Charlie vomita grumi di junk food ingoiati compulsivamente. Ma immediatamente sento il bisogno di rientrare in quello spazio claustrofobico in cui il dramma si svolge e rimarrò incollata alla poltrona fino alla fine, passando da sentimenti contrastanti di repulsione, empatia, commozione.
La sceneggiatura di “The Whale” è la trasposizione cinematografica della omonima pièce teatrale scritta da Samuel D. Hurter, commediografo americano nato e vissuto In Idaho e Iowa, proprio i luoghi cui il film fa riferimento. I richiami autobiografici sono evidenti, come dichiara esplicitamente lo stesso autore: infanzia ed adolescenza condizionati da una rigida educazione religiosa evangelica e mormone, la scoperta della propria omosessualità ed il rifiuto da parte della propria comunità, ia rimozione e l’affogare nella depressione e nei disturbi dell’alimentazione, l’insegnamento di scrittura creativa all’università. Un vissuto che si riverbera nei caratteri dei personaggi del film, ognuno con la drammaticità dei suoi problemi personali, ma tutti accomunati dalle tematiche del rifiuto, della colpa e della espiazione, tutti con una umana vulnerabilità che ce li fa sentire vicini e da cui è difficile prendere le distanze. Vicino all’epilogo della propria autodistruzione, sarà proprio Charlie ad indicarci la strada per il riscatto, che passa
inevitabilmente attraverso l’onestà e la capacità di amare se stessi e gli altri per perdonare ed essere perdonati.
Recensione di Teresa Capaldi